CENTRO DI PEDAGOGIA CLINICA

Allenare la motricità per potenziare il linguaggio

Leggendo il seguente articolo approfondiremo, attraverso evidenze scientifiche, il motivo per cui è meglio “perdere” un po’ di tempo, ma lasciare che i bambini eseguano alcune azioni in autonomia fin da piccolissimi, quali: vestirsi, allacciarsi le scarpe e così via…

In seguito ne potranno beneficiare in quanto a potenziamento delle capacità linguistiche scritte e orali…e non solo!

 

Buona lettura 🙂

Due funzioni umane apparentemente slegate e indipendenti, ma che in realtà hanno molto a che fare una con l’altra:

parliamo di motricità e potenziamento del linguaggio

La comunicazione è una funzione umana estremamente complessa, che implica la volontà di entrare in relazione con gli altri, di voler esprimere i propri bisogni, di cooperare, di avvisare l’altro di pericoli imminenti. Per fare tutto ciò l’essere umano deve essere in grado di prevedere e comprendere le azioni altrui attribuendovi un significato, abilità possibili, come vedremo, grazie aineuroni specchio (o neuroni mirror) di cui molto probabilmente avrete già sentito parlare, ovvero quei neuroni che ci permettono di immedesimarci nelle scene di un film facendoci empatizzare con i vari personaggi…

La natura dell’apprendimento del linguaggio dunque è estremamente sociale.

Ce lo dimostra l’esperimento della neuroscienziata Patricia Kuhl (lo puoi trovare cliccando qui 

https://www.lescienze.it/news/2003/07/

17/

news/come_i_bambini_imparano

_le_lingue-587832/):

dei bambini americani di nove mesi sono stati sottoposti per circa cinque ore all’ascolto di persone di madrelingua cinese mandarino. In seguito i bambini erano in grado di distinguere i fonemi in lingua cinese. In un secondo momento, lo stesso materiale linguistico è stato fatto ascoltare su supporto audio/video. In questo caso i bambini non sono stati capaci di distinguere le unità fonetiche in cinese, al contrario di quando l’ascolto è avvenuto tramite una persona in carne ed ossa.

Come si è sviluppata la capacità verbale nell’uomo?

Tra le teorie più accreditate rispetto lo sviluppo della facoltà comunicativa verbale nell’essere umano vi è quella secondo la quale il linguaggio si sarebbe sviluppato a partire dai gesti, ovvero movimenti delle mani, espressioni facciali e gesti corporei. Non a caso, studi scientifici sulle scimmie antropomorfe hanno rivelato che esse non solo posseggono un vasto repertorio di gesti, ma che sono anche in grado di riprodurli in maniera intenzionale. Gli scienziati Gentilucci e Corballis (2006, p. 951; cit. in Adornetti et al., 2008) arrivano a sostenere che l’antenato comune a esseri umani e scimpanzé sia dotato di un sistema atto più a produrre e comprendere gesti visibili, che non suoni, facendo appunto supporre che l’origine del linguaggio derivi dai gesti, più che da un’evoluzione diretta dell’emissione e comprensione dei suoni.

A rendere la teoria dell’origine gestuale del linguaggio ancora più convincente, sono le attuali evidenze scientifiche, secondo cui le aree motorie della corteccia cerebrale non sono destinate a compiti meramente esecutivi, ma influiscono anche nella percezione e nelle attività cognitive.

Altro fatto curioso è che dal momento in cui nasciamo, produciamo una serie di movimenti in “sincronia interattiva” in risposta al linguaggio verbale umano, come se vi fosse un sistema atto al riconoscimento del parlato che automaticamente ci facesse attivare a livello corporeo, producendo una serie di gesti, pur tuttavia involontari. Inoltre verso gli otto mesi, si assiste ad un incremento dei movimenti manuali insieme all’emerge della lallazione (Oller e Eilers, 1998). Il tutto, ancora una volta, sembra corroborare l’ipotesi che motricità e linguaggio verbale vadano di pari passo.

Analisi della funzione della capacità verbale e della sua evoluzione storica

Abbiamo detto che alla base della produzione linguistica:

  • c’è l’intenzione di comunicare e farsi comprendere;
  • che essa avviene attraverso la sostituzione di simboli agli oggetti e alle azioni reali (posso riferirmi a qualcosa senza che sia effettivamente presente, o ad un’azione senza che essa si stia compiendo in quel momento);
  • Infine per produrre un atto linguistico devo essere in grado di controllare gli organi deputati alla produzione vocale (che è dunque un’abilità motoria anche se non del tutto consapevole).

I segnali emessi dai primitivi, concernenti gesti delle mani ed espressioni facciali, sono divenuti gesti convenzionalmente comunicativi tramite il processo di “ritualizzazione ontogenetica” (Arbib te al., 2008; cit. in Adornetti 2012) ovvero attraverso la loro ripetizione nel tempo e all’attribuzione di significato…

E qui tornano in gioco i nostri neuroni mirror, perché è grazie a loro che la comunicazione intenzionale è possibile: essi, ci permettono di comprendere le azioni altrui in quanto si rispecchiano mentalmente sul nostro cervello che si attiva inviando al nostro corpo il segnale di stare pronto ad agire.

Dunque, stavamo dicendo che nell’uomo a poco a poco si è sviluppata la capacità di riprodurre gesti simbolici non soltanto legati al “qui ed ora”, ma riferiti anche ad oggetti non fisicamente presenti o a fatti passati o futuri. Essi hanno cioè subito il processo della convenzionalizzazione, diventando via via sempre più riferiti all’astratto, che non agli oggetti del “qui e ora”; e questo processo ha portato al passaggio dal gesto manuale, legato alla percezione visiva, allo sviluppo dell’articolazione dei gesti facciali, fino alla capacità di vocalizzazione, per la quale due soggetti possono comunicare a distanze maggiori, senza dover mantenere il contatto visivo. (Adornetti, 2012).

Alla produzione del linguaggio si sarebbe dunque arrivati tramite l’incorporazione delle vocalizzazioni nel sistema dei neuroni mirror (neuroni specchio).

La teoria motoria della percezione del parlato di Liberman va a sostegno di tale ipotesi; secondo quest’ultima, infatti, percepire suoni equivale a percepire “gesti”, inclusi i gesti non visibili quali i gesti articolatori prodotti da labbra, vello, laringe, corpo, dorso e punta della lingua. I suoni verbali sarebbero compresi rispetto a come vengono articolati, piuttosto che a come vengono percepiti acusticamente, sempre grazie alla presenza dei neuroni specchio. (Adornetti, 2012). Cioè, per effetto di questi neuroni, così come per comprendere un’azione lo spettatore la ripeterebbe internamente a livello inconscio, per comprendere un suono linguistico, una parola, l’ascoltatore ripeterebbe dentro di sé i movimenti articolatori dell’apparato fonatorio.

Il fatto che i non udenti comprendano il linguaggio verbale dal labiale, si riveste ora di un significato aggiuntivo; e ci viene anche in mente quando durante il covid, ci siamo trovati a sperimentare un certo disagio se non una vera e propria difficoltà, nel conversare a bocca coperta (e non soltanto per il respiro più affannoso, ma proprio per l’ostacolo aggiuntivo alla percezione e comprensione data dal non poter vedere i movimenti delle labbra).

Per di più, tra i neuroni specchio ve ne sarebbero alcuni chiamati “audiomotori”, che si attivano non solo quando si vede qualcuno compiere un’azione, ma anche al suono caratteristico di quell’azione (Kohler et al. 2002; cit. in Adornetti, 2012). Pensiamo ad esempio al rumore prodotto da qualcuno che correre in un corridoio: riusciamo a comprendere che qualcuno sta correndo senza vederlo, perché riconosciamo e identifichiamo il rumore.

Dunque la vocalizzazione si sarebbe aggiunta ai gesti, dapprima sotto forma di meri grugniti, diventati via via sempre più articolati, cosicché da gesti visibili, è avvenuto il passaggio a gesti invisibili, ma udibili, eseguiti nella cavità orale. (Agliotti e Pazzaglia, 2010, cit. in Adornetti, 2012).

 

Evidenze scientifiche della connessione tra funzioni motorie e linguistiche

L’affinità neuronale tra funzioni motorie e funzioni linguistiche è evidente in quanto i neuroni mirror sono presenti nell’area di Broca, che oltre ad essere deputata alla comprensione e produzione del linguaggio, controlla alcune funzioni motorie (ecco perché è molto importante implementare la motricità fine), quali il movimento delle mani e più in generale l’apprendimento senso-motorio. È perciò ormai noto che i lobi frontali del cervello, dove appunto risiede l’area di Broca, oltre a supportare la coordinazione delle attività motorie, sono implicate in attività di carattere cognitivo.

E dirò di più: secondo un esperimento svolto da Gentilucci e collaboratori c’è un sistema che controlla i movimenti delle mani contemporaneamente a quelli della bocca…Se ci pensiamo è sorprendente come ogni funzione umana sia in connessione con le altre, anche se apparentemente non hanno nulla in comune…Ebbene l’esperimento ha dimostrato che durante la prensione di oggetti di diverse dimensioni e la contemporanea pronuncia di sillabe, le vocali contenute in esse presentano uno spettro vocale più o meno ampio a seconda della grandezza dell’oggetto e quindi dell’apertura delle dita per afferrarlo.

Un’altra scoperta interessante è quella di Martin et al. (1995), e cioè nell’elaborazione della classe dei verbi, come nomi di azioni, appaiono coinvolte le strutture corticali motorie, mentre per l’uso di nomi, quali i colori si attivano le aree sensoriali. (Cangelosi, Turner, 2002).

Abbiamo infine la teoria proposta da Iverson e Thelon (19999) secondo la quale la capacità di esprimersi verbalmente è legata al sistema di interconnessione tra i nessi motori di mano e bocca, quindi all’interazione tra gesto e parlato. (Gentilucci e Corballis, 2006).

I vantaggi evolutivi della comunicazione orale

Secondo Corballis il passaggio dai gesti alle vocalizzazioni presenterebbe innumerevoli vantaggi evolutivi, come ad esempio la possibilità di comunicare a maggiore distanza o al buio, di costruire qualcosa mentre si parla, e così via; grazie a una comunicazione sempre più efficiente, le varie generazioni hanno potuto trasmettersi le conoscenze, permettendo il rapido sviluppo della civiltà umana fino allo sviluppo tecnologico.

Le abilità comunicative dell’uomo si sono sviluppate affinché esso potesse adattarsi all’ambiente in maniera sempre più ottimale.

Una società più inclusiva

L’Icf (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute) ci dice che la disabilità è rapportata all’ambiente e al contesto più che all’individuo in sé. Tutti siamo diversi e tutti siamo portatori di bisogni speciali in qualche momento della nostra vita: pensiamo ad esempio alla vecchiaia, quando le nostre gambe non ci reggono più, in quel momento siamo portatori di bisogni speciali. È l’ambiente che però influisce sulla nostra autonomia: un luogo in cui ci sono solo scale, dove mancano rampe ed ascensori, mi renderà più disabile rispetto a un luogo che ne è fornito.

Un mondo più inclusivo è un posto che non si occupa solo di ciò che occorre alla maggioranza (ammesso che poi si tratti davvero di maggioranza), ma è un luogo ricco di facilitatori, che metta tutti nelle condizioni di essere quanto più possibili autonomi.

In questo caso, per quanto riguarda la comunicazione, sarebbe sicuramente un mondo più accogliente se la lingua dei segni venisse insegnata a scuola, a favore non solo dei non udenti, ma di tutti: i cosiddetti BES (Bisogni Educativi Speciali) sono di molteplice natura, e molti dei bambini portatori di BES potrebbero beneficiare dall’apprendimento della lingua dei segni. Pensate a bambini che appartengono a culture diverse, bambini timidi, bambini che hanno bisogno di imparare a canalizzare la propria energia attraverso movimenti finalizzati. Il linguaggio dei segni può avere molteplici funzioni, oltre a quella di mettere i non udenti in grado di comunicare adeguatamente, quali:

  • allenare la motricità fine con possibili ricadute sulle abilità linguistiche orali e scritte;
  • imparare a controllare i movimenti delle mani attraverso gesti finalizzati, acquisendo un maggior controllo di sé stessi;
  • arricchire l’individuo con un’abilità in più;
  • Scoprire nuovi modi di comunicare e di esprimersi;
  • rendersi più accorti e sensibili rispetto la diversità che ci circonda favorendo di conseguenza le relazioni e dunque l’inclusione.

Preciso che ovviamente non è mia intenzione assolutizzare l’insegnamento della lis come rimedio a tutto, vorrei piuttosto far riflettere che esistono altri modi di apprendere e altri apprendimenti non canonici, che possono apportare benefici a tanti; e vorrei anche offrire uno spunto di ampliamento degli orizzonti del sistema scuola, che ad oggi si basa ancora sull’istruzione più che sull’educazione dell’essere umano nel senso più alto del termine.

Ritornando a ciò che concerne il linguaggio verbale e non, ritengo che nell’attuale società, concedere a tutti la possibilità di sviluppare il proprio potenziale, significa, in un certo senso, ribaltare i processi evolutivi e ritornare a dare importanza al gesto, ai sensi, alle azioni verbali, al corpo, cosicché la comunicazione sia alla portata di tutti, e ciascuno possa esprimersi nel modo che gli è più congeniale.

Un bambino capace di udire e di parlare, se acquisisce anche la capacità di comunicare con l’uso dei gesti, è un bambino che acquisisce un punto di vista nuovo, alternativo, è un bambino che sa controllare la propria motricità, con possibili benefici anche sulla motricità fine e sul linguaggio parlato, oltre che un bambino aperto al diverso, primo passo per una società più inclusiva. Il linguaggio non si acquisisce solo tramite capacità cognitive astratte, ma ha bisogno del coinvolgimento dell’essere umano nella sua interezza e di relazioni. 

Spero di aver riportato una riflessione utile rispetto a questa tematica di portata così ampia che concerne la connessione mente e corpo.
Se avete piacere, potete lasciare anche una vostra riflessione commentando qui sotto, o scrivendomi una email. Sarò lieta di leggervi e di rispondervi.

A presto : )

Alice

 

 

Bibliografia:


ADORNETTI I., (2012). Origine del linguaggio. Periodico on-line, 5.

BRANDI L., BIGAGLI A., (2004). Neuroni specchio, linguaggio e autismo. Quaderni del dipartimento di linguistica – Università di Firenze, 14.

CANGELOSI A., TURNER H., (2002). L’emergere del linguaggio. In A.M. Borghi & T. Iachini (a cura di), Scienze della mente, Bologna: Il Mulino, pp. 227 – 224.

GENTILUCCI M., CORBALLIS MC (2006, Pages 949-960) Neuroscience & Biobehavioral Reviews, Volume 30, Issue 7.

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